Il mondo della lettura

 Il mio cuore s'è ferito e no , non s'è cucito -Danicobain-
 
Danila era in viaggio da più di quarantotto ore, ma non era stanca, era contenta di essere in Italia, contenta di poter finalmente rivedere Mark. Non era passata nemmeno a casa a cambiarsi e non lo aveva avvertito del suo ritorno perché voleva fargli una sorpresa. Erano quasi le undici di sera, fuori diluviava e faceva abbastanza freddo, ma lei era talmente tanto felice che tutto le sembrava bellissimo. Canticchiava in macchina mentre raggiungeva il capannone di Mark dove era solito allenarsi e dove teneva a volte qualche corso di addestramento. Sicuramente lo avrebbe trovato lì. Trascorreva praticamente intere giornate in quel posto, spesso anche le notti, infatti aveva una camera anche lì. Quando entrò nel cancello e vide la sua macchina parcheggiata lì sorrise tra sé. Per fortuna non aveva fatto un viaggio a vuoto. Le luci al piano di sotto erano spente, guardò in direzione della piccola finestra al piano di sopra e… Mark stava baciando un’altra donna. Era nudo. Lei era nuda. E non si stavano soltanto baciando. Premette i palmi delle mani sugli occhi. Non era possibile. No. Non stava succedendo per davvero. Il suo uomo non stava scopando con un’altra donna. Improvvisamente l’abitacolo della macchina divenne troppo stretto e soffocante, spalancò lo sportello ed uscì, sotto la pioggia scrosciante. Scendeva giù talmente forte da farle male, ma non era assolutamente nulla in confronto al dolore che provava il suo cuore. Rotto. Completamente distrutto in mille pezzi e non si sarebbe più riparato. Il suo primo istinto fu quello di dare fuoco all’intero capannone e vederli bruciare vivi. Il suo secondo pensiero fu quello di sfasciargli la macchina, ma non fece nulla. Niente di niente. Rimase lì, immobile, sotto l’acqua gelida a piangere disperatamente e ad osservare Mark. Il modo in cui baciava l’altra donna, come le accarezzava la pelle e come la possedeva…la desiderava ardentemente e forse non aveva mai desiderato nemmeno lei con quella intensità. La donna aveva i capelli bagnati, dunque avevano fatto anche la doccia insieme…chissà quante altre volte avevano fatto l’amore… L’aveva dimenticata. L’aveva dimenticata con una facilità impressionante. Come sempre. Come avevano fatto tutti. Tra lei e Mark era stato, per così dire, amore a prima vista. Era stato tutto così veloce, bello, intenso, inaspettato. Poi era arrivata la chiamata e lei era stata costretta a partire. Sei mesi, solo sei mesi. Non era la prima volta che partiva in missione, ma era la prima volta che lo faceva da quando aveva Mark. I primi periodi si sentivano spesso, lei cercava di chiamarlo tutti i giorni, ma ben presto la situazione si era aggravata e i continui bombardamenti li costringevano a stare lunghi periodi isolati, senza nessun tipo di collegamento con l’esterno. I mesi, da sei erano diventati nove, poi dieci, poi undici…e alla fine era tornata. Undici mesi erano tanti, lo sapeva bene, magari se lo sarebbe dovuta aspettare che Mark… Ma loro si amavano, doveva pur contare qualcosa, no? Evidentemente lui non l’amava. Cosa c’era di sbagliato in lei? Perché nessuno mai si innamorava di lei? Perché tutti riuscivano a dimenticarla con estrema facilità? Era il suo destino. Nessuno si sarebbe innamorato di lei. Nessuno. Doveva mettersi l’anima in pace. Che patetica che era. Si dava sempre la colpa di tutto. Non era stata capace di tenersi un uomo. Certo, poi c’era sempre la scusa che se non l’amavano significava che non la meritavano, che non erano le persone giuste, ma questa era una fottutissima stronzata. Si odiava, si odiava all’ennesima potenza. Così forte e combattiva all’esterno e così tremendamente fragile e insicura all’interno. Cosa sarebbe successo ora? Mark l’avrebbe sicuramente lasciata per l’altra… non poteva sopportare anche questo. No. Sarebbe scomparsa. Lui non sapeva che fosse tornata dalla missione e non lo avrebbe mai saputo. Oramai aveva un’altra. Non gli importava più di lei. Non voleva che la vedesse in questo stato, non gli avrebbe dato anche la soddisfazione di fargli vedere che stava soffrendo come un cane. Sarebbe ripartita presto, se i capi le avessero dato il permesso. Lontano da lui, dove la guerra distruggeva ogni cosa e dove non c’era tempo di pensare alle sofferenze del cuore. Lì lo avrebbe dimenticato. Si domandava perché Dio l’avesse risparmiata quando era laggiù. Perché non aveva preso lei invece di prendere i suoi compagni con una famiglia, una moglie, dei figli. Lei non avrebbe lasciato nessuno. Nessuno a cui importasse realmente qualcosa. Si rese conto di essere seduta a terra, nell’acqua. Quanto tempo aveva trascorso lì? Non se lo ricordava, ma aveva smesso di piovere e la finestra della stanza di Mark era spenta. Aprì lo sportello della macchina e si sedette. "Spero che quella donna ti spezzi il cuore e che passerai il resto della tua vita a soffrire come un cane" disse guardando in direzione della finestra. Poi ingranò la retro marcia e scomparve nella notte. Come se non fosse mai stata lì, come se non fosse successo niente.
Mentre fuori piove 

Silvia era in ritardo per la sua prima lezione all'università e correva sui tacchi alti con un malloppo di fogli e libri in mano. 
Era la sua prima lezione e voleva fare una buona impressione al professore che l'aveva scelta come assistente, ma quella mattina aveva avuto un piccolo problema con quell'idiota del suo ex ragazzo che l'aveva chiamata dicendole che voleva suicidarsi. Era stata costretta a calmarlo e a chiamare Carabinieri e ambulanza e aveva fatto tardi. Ora si stava spaccando i piedi e le gambe, ma non poteva rallentare il passo e poi era quasi arrivata...
Fu proprio allora che si scontrò con qualcuno. In una piazza grandissima, quasi deserta, lei andò a finire addosso all'unica persona che passava di lì in quel momento. I libri le caddero dalle mani e i fogli si sparpagliarono tutt'intorno, svolazzando qua e là, trascinati dalla lieve corrente del vento. 
Dio, quella era la sua giornata ed era iniziata decisamente male.
Si affrettò a chinarsi sui libri, senza neanche badare al ragazzo contro cui era andata a sbattere, farfugliando delle scuse.
“Cazzo, ma stai più attenta” disse lui scontroso “Guarda cosa hai combinato”
“Scusa, scusa, mi dispiace, non ti ho visto”
“E me ne sono accorto. Sei tutta sporca comunque”
“Cosa?” si guardò il vestito, un tailleur beige, e scoprì di essere macchiata dappertutto. Le era finito addosso il caffè che lui stava bevendo.
Si sentì crollare il mondo addosso e per poco non scoppiò a piangere.
“Oddio ma guarda come sono ridotta!” alzò lo sguardo verso il ragazzo, furente. 
Stava per dirgliene di tutti i colori, ma per una frazione di secondo rimase immobile a bocca aperta, incapace di parlare. 
Di fronte a lei c'era Marco Severino, più incazzato di lei che reggeva alcuni fogli raccolti poco prima. Lui era un noto imprenditore della zona, conosciuto soprattutto per le sue numerose love story con attrici, soubrette e modelle.
“Tu..tu sei...sei uno stronzo! Non potevi stare più attento? Adesso devo correre a casa a cambiarmi e non farò in tempo a fare un bel niente”
“Hei signorina, fino a prova contraria sei tu che sei venuta a sbattermi addosso, io me ne stavo tranquillo per fatti miei a bere il caffè. Guarda avanti quando cammini” 
“Io guardo sempre avanti, ero in ritardo e...” si fermò. Non c'era tempo di mettersi a discutere, doveva correre a casa a cambiarsi, altrimenti doveva andare a tenere la lezione in quelle condizioni. Si sentì svenire. Quella lezione era troppo importante per lei, troppo. E stava per mandare tutto a puttane.
“Ti senti bene?” le chiese Marco, l'aveva vista sbiancare e si era avvicinato per sorreggerla.
“Si, sto bene” disse, ma le sue guance si rigarono di lacrime.
“Ma stai piangendo? Per un pò di caffè? Dai non è successo nulla” Marco guardò verso il cielo imprecando sottovoce. Proprio a lui doveva capitare di incontrare una pazza psicopatica ed esaurita che scoppiava a piangere senza motivo? Magari era depressa o l'aveva lasciata il ragazzo, ma a lui tutto questo non interessava, a lui non interessava minimamente sapere cosa diavolo passava per la testa di quella ragazza. Stava solo trascorrendo una mattinata in assoluto relax, in attesa che lo raggiungessero un paio di amici.
“Devo tornare a casa” disse Silvia, più a sé stessa che a Marco.
“Tieni” disse Marco porgendole i fogli “Questa è roba tua”
“Grazie” rispose lei, poi si girò e cominciò a correre in direzione della sua abitazione.
Marco la guardò allontanarsi e provò un po' di dispiacere per quella ragazza. Aveva detto di essere terribilmente in ritardo. E se fosse stato il suo primo giorno di lavoro? Se fosse arrivata tardi l'avrebbero licenziata? E ora stava tornando indietro... Beh erano fatti suoi, avrebbe potuto benissimo muovere il suo culo prima per non rischiare di arrivare in ritardo e non passare ore davanti allo specchio a prepararsi, come tutte le donne.
Però magari poteva darle un passaggio in macchina. In fondo era ancora presto e i suoi amici non sarebbero arrivati prima di un'ora. Cominciò a correrle dietro.
“Hei! Hei aspetta!” gridò.
Silvia si girò e si accigliò. “Ho perso qualcosa?” chiese.
“No, è che tu poco fa hai detto di essere in ritardo. Beh ecco...vuoi un passaggio a casa? Ho la macchina proprio qui” disse lui, indicando il parcheggio di fronte a loro.
Un passaggio. Le avrebbe fatto veramente comodo e sebbene non volesse accettare, fu costretta a farlo. 
“Ehmm...si grazie” rispose timidamente.
“Vieni”
Si incamminarono verso il parcheggio e salirono a bordo di una Mini. 
“Come ti chiami?” chiese lui dopo aver messo in moto.
“Silvia”
“Io sono Marco”
Silvia gli sorrise “So chi sei”
“Certo. Allora...dove vivi?”
Dopo avergli detto l'indirizzo e spiegato rapidamente la strada da fare, lo ringraziò. Era stato veramente gentile ad accompagnarla. Forse doveva avergli fatto pena quando era scoppiata a piangere. Sicuro l'aveva presa per una povera scema. Una femminuccia piagnucolona. Che figuraccia che aveva fatto. Ma tanto cosa le interessava del giudizio di uno stupido imprenditore donnaiolo?
Marco interruppe i suoi pensieri “Dove stavi correndo quando mi sei venuta addosso?”
Lei gli lanciò un'occhiataccia “All'università. Oggi devo tenere la mia prima lezione”
“Sei una professoressa?” 
“No, per il momento sono solo un'assistente. Sto facendo il dottorato”
“Quindi vorresti diventare una professoressa”
“Si, mi piacerebbe”
“A che ora hai lezione?”
“Alle dieci”
“Ma sono le nove e mezza! E poi i professori non arrivano sempre in ritardo?”
“In ritardo...beh dipende dai professori. E poi io dovevo incontrare prima il mio professore. Ma oramai è troppo tardi”
“Dai, vedrai che capirà. Possono capitare degli imprevisti”
“Tu non lo conosci”
“Siete amanti?” chiese Marco scherzando.
“Cosa?” Silvia lo guardò shoccata. 
Come diavolo si permetteva di fare un'insinuazione del genere senza nemmeno conoscerla? 
Marco notò la sua espressione infuriata e dispiaciuta e si rese conto di aver fatto una cazzata. Lui stava scherzando, non avrebbe mai voluto offenderla. 
“Silvia scusami, stavo scherzando. Sai com'è...i professori sono sempre dei vecchiacci e sono sempre circondati da assistenti giovani e belle...stavo scherzando, davvero. Non volevo offenderti”
“Non è il mio caso” rispose lei raccogliendo le sue cose “Fermati”
“Hei, aspetta dai, stavo”
“Fermati qui, siamo arrivati”
Marco la guardò un secondo negli occhi e poi accostò.
“Grazie mille per il passaggio e scusa per il disturbo” disse gentilmente Silvia aprendo lo sportello
“Figurati”
Scese rapidamente dalla macchina e attraversò la strada, infilandosi alla svelta dentro un portone.
Marco rimase qualche secondo indeciso sul da farsi. Una parte di lui voleva andare via e raggiungere gli amici, un'altra parte però, quella che si faceva sentire di più, voleva accompagnare la ragazza anche all'università. Riusciva a comprendere il suo stato di agitazione, era la sua prima lezione ed era sicuramente emozionata ed ansiosa. Sarebbe stato sicuramente meglio se fosse arrivata quantomeno il prima possibile. 
Decise. L'avrebbe aspettata. Spense il motore della macchina e si rilassò sul sedile.


Silvia si precipitò in camera da letto e aprì l'armadio. Visionò rapidamente i suoi abiti classici e alla fine optò per un tubino nero classico, attillato e non molto corto. Infilò un paio di calze nere velate e indossò il vestito. Corse in bagno a darsi una sistemata ai capelli e al trucco, spruzzò un po' di profumo sui polsi e fece il cambio di borsa e scarpe. Afferrò un giacchetto nero avvitato e i suoi libri ed uscì nuovamente.
Una volta fuori si sentì chiamare. Guardò di fronte a lei e c'era ancora Marco, in macchina e la stava guardando. L'aveva chiamata lui? Si, sembrava proprio di si. Come mai era rimasto ad aspettarla? Cavolo, sicuramente aveva dimenticato qualcosa nella macchina e l'aveva costretto ad aspettare che uscisse. Okay stava solo facendo delle figuracce. Aspettò che una macchina passasse ed attraversò la strada.
“Hei, sei ancora qui?” chiese lei imbarazzata.
“Pensavo che magari ti avrebbe fatto comodo un passaggio all'università”
Ah, quindi non aveva dimenticato nulla. Era rimasto di sua spontanea volontà. Non ebbe tempo di pensare a quanto le facesse piacere tutto quello perché doveva sbrigarsi.
“Non voglio che tu ti senta costretto a farlo”
“Costretto? No, mi fa piacere”
“Okay, grazie” rispose Silvia sorridendo. Fece il giro della macchina ed entrò.
L'abitacolo della macchina si riempì all'istante di un buonissimo profumo ambrato. Marco lo aveva sentito anche prima, ma ora era più forte. Gli piaceva. E gli piaceva anche Silvia. Quel vestito nero che aveva indossato adesso le stava proprio bene, metteva in vista le sue lunghe gambe e in risalto le sue curve gentili. Bella. Molto femminile. 
“Dove ti porto?”
“Facoltà di lettere e filosofia”
“E tu cosa insegni?”
“Filosofia antica”
“Filosofa dunque” disse lui girandosi verso di lei e sorridendole.
Che bel sorriso che aveva. I denti erano bianchissimi e perfetti. Era decisamente bello. Lo aveva sempre pensato di lui, ma dal vivo lo era ancora di più. Beh almeno avrebbe potuto dire di essere stata nella sua macchina e di aver fatto quattro chiacchiere con lui. Avrebbe voluto fargli tante domande sulla sua vita, ma l'agitazione per la sua prima lezione le fece dimenticare tutto quello che aveva in mente. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era l'argomento della sua lezione. 
Scherzarono ancora un po' sui filosofi antichi e sulla filosofia in generale, poi arrivarono a destinazione. Marco si fermò.
“Grazie mille, veramente” disse lei.
“In bocca al lupo”
“Crepi”
Si scambiarono un altro sorriso e Silvia scese. 
Marco però non andò via. Ora era curioso. Aveva voglia di assistere alla lezione di Silvia. Trovò un posto dove parcheggiare la macchina e scese anche lui. Aspettò per un po' fuori, dandole il tempo di arrivare in aula e di iniziare la lezione, nel frattempo fece qualche telefonata ed avvertì i suoi amici che sarebbe arrivato con un po' di ritardo, poi entrò. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta  in cui era entrato in una università, ma sicuramente non era cambiate di molto le cose, così si avvicinò ad una bacheca e controllò l'aula nella quale si sarebbe tenuta la lezione di filosofia antica. Percepì gli sguardi di alcuni ragazzi che lo avevano riconosciuto, ma nessuno andò a disturbarlo. Bisbigliavano tra loro. Marco rise tra sé, sicuramente si stavano chiedendo cosa ci facesse lui lì. Trovò l'aula non senza difficoltà e si incamminò piano.

Silvia fece un respiro profondo prima di entrare in aula. Proprio appena era entrata in facoltà aveva incontrato il suo professore che parlava con alcuni colleghi. Lei lo aveva salutato e aveva accennato qualcosa sul perché avesse fatto tardi, ma lui l'aveva liquidata con un ”Vada a tenere la lezione” che lasciava trapelare tutto il suo disappunto per quel comportamento. Ora, davanti alla porta, la sua preoccupazione non era tanto rivolta alla lezione, ma a quello che le avrebbe detto dopo il professore. Si concentrò, non doveva pensarci. Adesso sarebbe entrata, avrebbe fatto la sua lezione e poi sarebbe andata a pranzo con i suoi colleghi, come al solito. Respirò ed entrò. Il chiasso dell'aula gremita divenne un leggero brusio, che cessò del tutto quando lei accese il microfono e si presentò. Si mise davanti la scaletta che avrebbe dovuto seguire e cominciò a parlare. 

Marco entrò in aula dalla porta superiore. Non voleva far distrarre Silvia entrando dalla porta accanto a lei e non era nemmeno sicuro di volere che lei lo vedesse lì. Si sedette dietro a tutto. Silvia sembrava così piccola laggiù, dietro quell'enorme cattedra, ma aveva una certa sicurezza nel parlare e una voce così carismatica che Marco ne rimase affascinato. Era molto più che bella, quella ragazza era bellissima. Si prese del tempo per osservarla. Aveva i capelli lunghi e lisci, castano chiaro, un viso delicato, due grandi occhi marroni e delle belle labbra. E poi aveva una voce così sensuale, gli venne voglia di sentirle pronunciare il suo nome mentre era sotto di lui. 
Oddio, cosa diavolo andava pensando? Ad un tratto Silvia si accorse di lui e si bloccò per qualche secondo. Lui le sorrise e qualche studente si girò in direzione dello sguardo della dottoressa seduta in cattedra. Lei riprese subito a parlare e di tanto in tanto lo guardava. Chissà cosa stava pensando in quel momento. Chissà cosa stava pensando di lui. Si sporse in avanti e chiese ad una ragazza davanti a che ora finiva la lezione. Lei si girò per rispondergli e rimase shoccata.
“Sei Marco Severino?”
“Si”
“Mi faresti gentilmente un autografo?”
“Certo” prese il foglio che lei gli stava porgendo e lo firmò. Quella ragazza era veramente strana! Un autografo? Quasi nessuno gli chiedeva un autografo.
“Comunque la lezione finisce a mezzogiorno”
“Grazie”
“Posso chiederti cosa ci fai qui? Sei iscritto a questa facoltà?”
“Ohh no, sono un amico della dottoressa”
“Ah, woow! Grazie mille per l'autografo”
“Figurati” rispose lui e le sorrise.
La ragazza si girò e lui continuò a concentrarsi su Silvia e a cercare di capire cos'era quello strano batticuore che aveva provato quando i loro sguardi si erano incontrati. Era forse attratto da lei? Era stato quantomeno curioso al punto tale da assistere alla sua lezione. Forse era rimasto solo perché non aveva niente di meglio da fare. Si, okay, quella era una scusa del cazzo, lui aveva appuntamento con i suoi amici, aveva tante altre cose da fare e invece se ne stava lì, in un'aula universitaria a contemplare una ragazza sconosciuta che solo un'ora prima gli era finita addosso e lui l'aveva quasi odiata.

La lezione terminò e mentre qualcuno rivolgeva a Silvia qualche domanda di chiarimento, Marco sgattaiolò fuori e andò da Silvia. Quando lei uscì dall'aula lo trovò appoggiato al muro che l'aspettava. Scosse la testa sorridendo.
“Sei rimasto” disse, quasi non credesse che fosse reale.
“Complimenti, sei stata bravissima”
“Grazie, comunque mi distrai gli alunni, la prossima volta dovrò farti aspettare fuori” 
La prossima volta. Ma cosa le saltava in mente? Non ci sarebbe stata una prossima volta e lei lo sapeva. Si disse che era solo un modo per scherzare, niente di più.
Lui rise “Ma ho solo chiesto ad una ragazza a che ora finiva la lezione”
“Ti sei annoiato?”
“Per nulla”
“Bugiardo”
“Dico sul serio”
“Sono molto tentata di chiederti qual'era l'argomento della lezione, ma non lo farò! Ti va di bere qualcosa?”
“Si, volentieri”
Mentre camminavano lungo i corridoi dell'università Silvia gli chiese
“Come mai sei rimasto?”
“Non lo so” disse lui dopo una breve pausa “Curiosità”
“Curiosità?”
“Si, beh..”
Il cellulare di Silvia squillò e lei rispose. Marco la sentì ridere e la vide felice e pensò che si trattasse del suo fidanzato. Si sentì stranamente irrequieto a pensare che avesse un ragazzo. Doveva andare via da lì al più presto o avrebbe fatto qualche cazzata. 
Quando ebbe finito di parlare al telefono, lei gli rivolse un sorriso radioso e di nuovo si incamminarono verso il bar.
Una volta dentro, Silvia vide il suo professore al bancone che beveva un caffè e chiacchierava con alcuni colleghi. Lui la guardò un secondo e continuò a fare quello che stava facendo, lei invece ordinò da bere, disse a Marco di scusarla un attimo e si avvicinò.
“Salve” disse rivolta a tutti.
I professori la salutarono gentilmente e scambiarono qualche battuta con lei, tranne il professor De Nicola, il suo professore. Lui si limitò a fissarla con aria impassibile e alla fine disse 
“Com'è andata la lezione?”
“Bene, ho parlato dell'argomento che avevamo concordato”
“Si da il caso che io avevo già parlato ieri di quell'argomento”
“C-come scusi?”
“Se lei si fosse degnata di venire prima stamattina glielo avrei detto. Che cos'è che l'ha trattenuta?” lanciò uno sguardo a Marco, che nel frattempo stava osservando tutta la scena.
“Veramente io ho avuto un imprevisto”
“E l'imprevisto a  che fare con il suo amico?”
“No, veramente lui mi ha solo dato un passaggio...”
“Stia bene a sentire, Silvia, quello che fa lei fuori di qui non mi interessa, ma quando è qui esigo un certo comportamento. Avrei almeno gradito una telefonata da parte sua”
Silvia era veramente mortificata “Mi scusi professore, credevo di arrivare in tempo ma poi”
Lui la interruppe e continuò la sua predica. Al termine le comunicò che non era più la benvenuta al pranzo al quale avrebbe dovuto partecipare quel giorno, salutò i suoi colleghi e andò via, lasciandola senza parole. Un professore le si avvicinò
“Mi dispiace Silvia, sappiamo tutti com'è De Nicola. So che sei una validissima assistente e vorrei proporti di entrare a far parte della mia squadra. Pensaci, mi raccomando”
almeno una piccolissima nota positiva in una giornata da dimenticare.


Marco aveva assistito alla scena e non gli era andato giù il modo in cui quel professore l'aveva trattata di fronte a tutti, neanche fosse stata l'essere più spregevole della terra. Si avvicinò piano, reprimendo la tentazione di stringerla forte tra le braccia e di rassicurarla. Era pallida e triste. 
“Dai Silvia, lascia perdere quello stronzo, ti va di venire a pranzo con me?”
Silvia lo guardò negli occhi e subito si sentì meglio. Le note positive erano decisamente due e Marco era senza dubbio la migliore. Le venne voglia di rannicchiarsi tra le sue braccia e di rimanere lì per un po'. Lui dovette leggerle sicuramente ne pensiero perché si avvicinò e le circondò le spalle con un braccio. 
E lei si lasciò andare. Appoggiò la testa al suo petto e respirò il suo profumo. Poi lui si ritrasse e lei si schiarì la gola. Era imbarazzante tutto questo. Aveva appena desiderato di essere tra le braccia di Marco Severino e per certi versi era accaduto, come se lo avesse detto ad alta voce.
Lo guardò e notò che anche lui era imbarazzato.
“Si, mi va di venire a pranzo con te, anche se ora come ora non ho fame”
“Mi dispiace per quello che ti ha detto “
Lei scosse la testa come a voler dire "lascia stare" e insieme uscirono dall'università.


Una volta fuori però, Marco non trovò più la macchina. Imprecando cominciò a dire che gliel'avevano rubata, ma Silvia gli fere notare che probabilmente l'aveva presa il carro attrezzi perché la macchina era parcheggiata in divieto di sosta. Lui però cominciò ad inveire contro di lei, dandole la colpa di quello che era successo e dicendogliene di tutti i colori.
“Ma porca puttana, che giornata di merda oggi! Avrei potuto fare qualsiasi cosa e invece guarda cosa mi è capitato! Ma perché proprio a me, perché?”
Ad un certo punto Silvia non ce la fece più a sopportare tutti quegli insulti. Lo fulminò con lo sguardo.
“Si può sapere cosa cazzo vuoi? Sei stato tu ad offrirti di accompagnarmi, tu a voler restare e tu a non guardare dove hai parcheggiato. Io non ti ho chiesto proprio un bel niente, capito? Quindi ora smettila di insultarmi e vai a farti fottere. Stronzo”
Detto questo, si girò e se ne andò, lasciandolo di stucco. Gli avrebbe tirato anche uno schiaffo se non fossero stati davanti alla sua università. Che cazzo, non ne poteva più. Sarebbe mai finita quella giornata?

Marco non sapeva cosa fare. Si era incazzato quando non aveva più trovato la sua macchina e si era sfogato con lei, le aveva dato la colpa di tutto quando in realtà la colpa era soltanto la sua. Si passò le mani tra i capelli, incerto sul da farsi, poi, per la seconda volta in quella giornata, iniziò a correre per raggiungere Silvia.
“Silvia! Aspettami”
Lei roteò gli occhi al cielo e non si fermò “Vattene Marco”
“Aspetta” disse lui prendendola per un braccio e costringendola a fermarsi “Scusami”
“Senti Marco, vaffanculo, okay? Lasciami stare”
Marco sorrise. Incazzata era stupenda. Voleva baciarla...
La strinse ancora più forte e la attirò a sè, poggiando le labbra sulle sue. Avvertì la sua resistenza, dovuta per lo più allo stupore che non ad un rifiuto, ma non si staccò, le prese il labbro inferiore tra le sue e lo succhiò piano. Percepì il momento in cui lei si lasciò andare e infilò la lingua nella sua bocca. 
Silvia per poco non fece cadere tutto quello che aveva in mano quando Marco la baciò. Dio come baciava bene, e che labbra morbide che aveva. Ma perché la stava baciando? Era forse il suo modo di chiedere scusa? Sicuramente era un modo efficace, lei lo aveva già perdonato. 
Marco si staccò delicatamente da lei e le accarezzò una guancia. Doveva avere una faccia da ebete perché le sorrise divertito. 
“Scusami se me la sono presa con te”
“Sei uno stronzo” disse lei cercando di mantenere un contegno, ma avrebbe voluto dirgli 'tu puoi fare tutto quello che vuoi, se poi mi baci in quel modo'.
“Ti va ancora di pranzare con me?”
Lei rimase un po’ in silenzio a guardarlo “Si, però andiamo a casa mia, non ho voglia di vedere altra gente oggi”
“Va bene, chiamo un taxi”
“No, facciamo due passi”
“Veramente preferirei chiamare un taxi, sai com'è...la gente, i paparazzi”
“Ohhh...si scusa”
“Non chiedermi scusa” disse lui dolcemente.
Le accarezzò una mano, poi prese il cellulare e chiamò un taxi.
Aspettarono pochissimo e altrettanto velocemente furono a casa di Silvia. 
Lei entrò e si tolse la giacca. Marco la osservò, mentre dentro di sè cresceva il desiderio di fare l'amore con lei. La voleva in quel preciso istante. 
“Cosa vuoi mangiare?”
“Non lo so, tu cosa vorresti? Possiamo ordinare qualcosa se non ti va di cucinare”
“No, beh non è quello il problema, è che oggi non contavo di tornare a casa per pranzo. Vediamo un po' cosa c'è”
“Chiamo un mio amico che ha il ristorante e ci facciamo portare qualcosa”
“Quante conoscenze!” scherzò Silvia.
Da quando lui l'aveva baciata non era più riuscita a guardarlo per più di qualche secondo e adesso lui si era fatto più vicino...percepiva il suo profumo.
Si girò e se lo ritrovò di fronte, a pochissimi centimetri di distanza.
“Allora che faccio, lo chiamo? Così abbiamo un po' di tempo per stare da soli”
“Siamo già soli” disse lei con un filo di voce. Gli fissò le labbra, il suo corpo aveva avuto un fremito a quelle parole.
Marco si avvicinò di più e le sfiorò le labbra “Dammi due minuti” si allontanò e prese il telefono.
Silvia non ci stava capendo molto, Marco la stava mandando fuori di testa. Solo ora si rendeva conto di quanto fosse realmente bello. Dio che sguardo che aveva...e come la guardava! Sembrava volesse mangiarla. In quel momento si sentiva la ragazza più bella della terra. 
Peccato che tutto quello presto sarebbe finito e che ognuno sarebbe ritornato alla propria vita. Le sarebbe piaciuto però conoscerlo meglio.
“Tra un'oretta saranno qui” disse Marco rientrando in cucina.
“Cosa hai ordinato?”
“Sorpresa”
Risero entrambi, poi Marco l'abbracciò.
Lei gli passò le mani sulle spalle, sentendo i muscoli sotto i palmi, le loro labbra si incontrarono in un bacio dolce e avvolgente, poi Marco le prese la testa tra le mani e la baciò con più foga, fino quasi a farla ansimare.
“Ti voglio Silvia”
Un gemito sommesso bastò a far sì che Marco le sfilasse il vestito ad una velocità supersonica. Rimase a contemplare le sue curve, in parte ancora nascoste dalle calze.
“Sei stupenda”
La prese in braccio e la poggiò sul tavolo. Baciandola rudemente le sfilò le calze e accarezzò la sua parte più intima. Era deliziosamente bagnata. Le scostò le mutandine e la stuzzicò con la lingua, dapprima solo con la punta, poi prese a leccarla e succhiarla avidamente. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo e la guardava godere. Era uno spettacolo, così sensuale...lei non se ne rendeva nemmeno conto di essere perfetta.
Risalì lungo il suo corpo, baciandole e mordicchiandole la pancia, fino ai seni. Li prese in mano e li accarezzò. Silvia si mise a sedere e gli sbottonò i pantaloni e infilò una mano nei suoi slip, dove la sua erezione fremeva, desiderosa di uscire da quella gabbia e di infilarsi tra le gambe di lei.
Lui le morse il labbro quando le sue dita sottili lo avvolsero e presero a muoversi su e giù.
Oddio che bello. Che meravigliose sensazioni stava provando. 
Silvia scese dal tavolo e lo condusse in camera da letto. Marco la prese in braccio e la distese, si spogliò e in un lampo fu su di lei. 
Lei si leccò il labbro e si aggrappò alle sue possenti braccia, allargando le gambe per lui. Gesù, quanto era bella sotto di lui, era la donna più bella che avesse mai visto. Semplice, naturale e assolutamente perfetta.
Si fece strada tra le sue cosce e scivolò dentro di lei. Gemettero entrambi. Silvia ancora non ci poteva credere che tutto quello stesse succedendo per davvero, era decisamente una giornata strana. Solo poco tempo prima l'aveva insultata e lei lo aveva mandato a quel paese ed ora era nel suo letto e stavano facendo l'amore. Sesso, certo. Era solo sesso, ma lui era estremamente dolce ed era stupendo quello che stava provando. 
Quando raggiunse l'orgasmo urlò il suo nome e poco dopo si sentì riempire dal suo seme. 
Marco si distese accanto a lei e la baciò a lungo, accarezzandole i capelli e tenendola stretta. Voleva rivederla e magari frequentarla se lei glielo avrebbe permesso.
Poco dopo arrivò il pranzo. Mangiarono sul divano, seminudi, imboccandosi a vicenda e strusciandosi durante tutto il pranzo. Era come se ci fosse una calamita che li teneva incollati, non riuscivano a stare lontani l'uno dall'altra.


Silvia doveva ammettere che quella giornata le aveva riservato una piacevole sorpresa. Era tutto così naturale e spontaneo con Marco che le sembrava di conoscerlo da sempre. Lui era dolce, gentile, simpatico, bellissimo e fantasticamente bravo a letto.
Quel giorno lo passarono a letto e la notte Marco rimase a dormire da lei.
La tenne stretta per tutto il tempo, quasi avesse paura che lei potesse scappare da lui. Mentre ripensava a quella strana giornata, un lampo rischiarò la stanza, seguito da un tuono fragoroso. Solo in quel momento si rese conto che fuori pioveva. La strinse ancora più forte, quasi a volerla proteggere dal maltempo e in quel momento si rese conto di essersi innamorato di quella ragazza. 
Era tutto così strano, ma il solo pensiero di non rivederla più gli faceva male. Lei era sua.
Era lei la donna del suo destino, quella che aveva sempre aspettato. Finalmente era arrivata.

Di Danicobain . Grazie :3





Solo un bacio


Correva a perdifiato lungo quel sentiero buio, lastricato di foglie secche che scricchiolavano ad ogni passo, correva via da quell'uomo che solo pochi istanti prima aveva tentato di violentarla e che lei aveva stordito con un calcio in mezzo alle gambe, ma che presto si sarebbe ripreso e l'avrebbe raggiunta. 
Mancava ancora molto per raggiungere la sua abitazione, viveva in aperta campagna, una casetta piuttosto isolata in mezzo alla boscaglia. Quella sera aveva cenato con un gruppo di amiche e sulla strada del ritorno le si era forato un pneumatico e mentre tentava di cambiarlo, si era fermata una macchina. Un uomo, dallo sguardo gentile, era sceso e si era offerto di aiutarla, solo che poi aveva puntato gli occhi sulle sue cosce e l'aveva bloccata contro la macchina, tentando di infilarle le mani nei pantaloncini blu scuro che indossava. A quel punto lo aveva colpito e aveva iniziato a correre. 
Ora non ce la faceva più, i muscoli delle gambe e i polmoni le bruciavano, ma non poteva fermarsi, era ancora troppo lontana.
Si voltò per vedere se l'uomo fosse dietro di lei e quando si girò andò a sbattere contro qualcosa di molto grosso. Cadde a terra con un tonfo secco e mentre guardava davanti a sè cominciò ad urlare.
Come diavolo aveva fatto a comparire all'improvviso? 
Un omone alto due metri, con delle spalle larghissime e uno sguardo assassino era fermo di fronte a lei, le braccia lungo i fianchi, con una mano stringeva un pugnale. Aveva dei pantaloni militari neri e un giubbotto di pelle. Le vennero i brividi.
"Calma, femmina. Non voglio farti del male" disse l'uomo, con voce calma e profonda.
"Chi...chi sei?" chiese lei alzandosi da terra e guardando continuamente dietro.
"Perché scappavi?"
"C'era un uomo che...avevo...stavo cambiando la ruota e un tizio si è fermato e ha tentato di violentarmi" deglutì e si strinse le braccia intorno alla vita. 
L'uomo si avvicinò e lei istintivamente indietreggiò.
"Non ti avvicinare, ti prego" disse lei con la voce che le tremava.
Lui non le diede retta, coprì velocemente la distanza che li separava e le afferrò un braccio. Lei ulrò e si dimenò cercando di liberarsi dalla sua stretta ma non ci riuscì. 
"Ti porto a casa" disse l'uomo.
"No, ti prego, lasciami andare, ti prego"
Vedendo che lei cercava di resistergli, la prese in braccio "Stai zitta se non vuoi che ti lasci qui"
Lei, spiazzata, sgranò gli occhi e si aggrappò a lui, con la testa vicino al suo collo. Aveva un buon odore, sapeva di maschio. Sotto le mani sentiva i muscoli delle spalle flettersi e sollevò lo sguardo per guardarlo in volto. Aveva capelli scuri, non molto corti, e lineamenti duri. 
"Come ti chiami?" chiese lei.
"Vin"
"Io sono Luce" 
Lui accennò un sorriso "Siamo quasi arrivati"
"Casa mia è lontana, puoi mettermi giù, non cercherò di scappare"
"Hai corso tanto, siamo arrivati oramai"
"Che ci facevi nel bosco? Cosa sei?"
"Sono un soldato. Abito qui vicino e facevo una passeggiata"
Un soldato che se ne andava solo per i boschi. Forse era un maniaco. Forse aveva dei disturbi mentali. Cazzo. Lei si stava fidando di un perfetto sconosciuto. Dove la stava portando? Si fece prendere dal panico e cominciò ad agitarsi.
"Che c'è, Luce, non ti fidi?"
"Mettimi giù ti prego, ho bisogno di fermarmi un attimo. Ho bisogno di aria"
Vin non accennò a fermarsi e non le rispose nulla, continuò a guardare di fronte a sè, mentre camminava a passo svelto.
"Dove mi stai portando?"
"A casa tua"
"Come fai a sapere dove abito?"
"Te l'ho detto, vivo anche io qui. Ti ho vista nel tuo giardino qualche volta"
Oh Dio santissimo, era un maniaco. 
Sarebbe mai finito quell'incubo? Prima quel tizio vicino alla macchina, ora questo qui che la teneva in braccio e non la lasciava andare. Ebbe paura. Viveva da sola e nessuno poteva sentirla se si metteva ad urlare a squarciagola, cos'altro poteva fare? Era in trappola. Una volta a casa avrebbe preso un coltello e avrebbe subito chiamato la polizia. Se mai ci fosse arrivata a casa. Cercò di trattenere le lacrime. 
"Non sono un maniaco Luce" disse Vin come se le avesse letto nel pensiero "È solo che tu sei così bella...non ho potuto fare a meno di guardarti"
E lo era veramente, alta quasi un metro e ottanta, snella e tonica, capelli neri lunghi e ondulati, carnagione olivastra e occhi scuri.
"Siamo arrivati" disse Vin imboccando il vialetto leggermente illuminato della sua abitazione. 
Luce tirò un sospiro di sollievo mentre Vin la faceva scendere e l'accompagnava alla porta.
"Grazie" disse lei e guardando il suo volto illuminato dalla debole luce sotto il portico. 
Cavolo, era un bellissimo uomo. Anche lui aveva i capelli neri, ma i suoi occhi erano di un verde brillante. Il volto era delicato e le labbra erano stupende, sembravano disegnate, le venne voglia di toccarle con un dito. L'espressione però era dura e metteva i brividi. Non traspariva alcuna emozione e lei pensò che dovesse essere di sicuro un soldato. Era imponente e lei si sentiva piccola vicino a lui, molto piccola. Si ricordò che prima, nel bosco, aveva un pugnale in mano e che poi lo aveva inserito in un fodero sul braccio sinistro. Chissà quante altre armi aveva. Forse anche una pistola. Senz'altro era un tipo pericoloso e lei fu ben felice quando lo vide allontanarsi, ma prima che potesse pensare a quello che stava per dire lo chiamò. Lui si girò verso di lei. 
"Ti...ti va di entrare?"
"Grazie ma.."
"Solo un attimo" non voleva rimanere da sola e in un certo senso con lui si sentiva al sicuro.
Vin si avvicinò di nuovo e a lei sembrò che stesse sorridendo, ma fu questione di un secondo, poi tornò ad essere serio e cupo. 
Prese la chiave di riserva da dentro un piccolo vaso che teneva su un davanzale, visto che le sue chiavi erano rimaste in macchina, ed entrarono.
Luce gli fece strada fino al salotto e lo fece accomodare. Quando lui si tolse il giubbotto, lei rimase senza fiato. Woow! Aveva una maglietta nera attillata che lasciava intravedere la sua magnifica tartaruga e i suoi pettorali scopliti. Le si seccò la gola. Non aveva mai visto un uomo così grosso.
"Vuoi qualcosa da bere?" chiese dopo un pò.
"No, grazie"
"Siediti pure, arrivo subito"
Scomparve dentro la cucina e tirò un grosso respiro. Si sentiva molto accaldata. Quell'uomo le faceva pensare a cose molto sconvenienti, sesso selvaggio, primitivo, qualcosa che aveva sempre desiderato ma che non aveva mai trovato. E poi aveva quelle labbra...voleva assaggiarlo. Non riusciva a capire come potesse pensare al sesso dopo che era stata quasi violentata, ma il corpo di Vin prometteva il sesso migliore che avesse mai fatto. 
Prese un vassoio, versò un pò di birra in due bicchieri, mise due stuzzichini in una ciotolina e glieli portò, anche se aveva detto che non voleva niente. 
Mentre camminava, sbadatamente inciampò nel tappeto e rovesciò tutto il vassoio a terra, con un gran fracasso di vetri rotti. Vin si precipitò da lei.
"Hei, stai bene?"
"Si, si, scusami, sono inciampata"
Lui le afferrò una mano e a quel contatto lei si sciolse. Entrambi si sciolsero. Si guardarono negli occhi e Luce percepì il desiderio di Vin. Non poteva più resistere a quel profumo meraviglioso che l'avvolgeva e a quelle labbra sensuali a pochi centimetri dalle sue.
Un bacio, solo un bacio. Si disse. Voleva sentire il suo sapore.
Con la mano libera gli accarezzò una guancia, lui socchiuse gli occhi e si avvicinò ancora di più alle sue labbra.
"Era da molto tempo che volevo farlo" sussurrò lui, poi le sfiorò le labbra con le sue.
Luce schiuse la bocca e lo accolse, era dolce e le provocava brividi in tutto il corpo, le loro lingue si incontrarono in un crescendo di desiderio che li portò a divorarsi le bocche. Lui mosse avidamente le mani su di lei, sulla maglietta sottile, accarezzandole i seni e salendo fino al collo. Lei infilò le mani sotto la maglietta e si lasciò sfuggire un gemito mentre accarezzava la sua pelle morbida.
Ad un tratto però si bloccò. Ansimante si allontanò da lui e lo guardò. I suoi occhi ardevano dal desiderio e le sue labbra erano rosse a causa dei suoi baci...No, non poteva farlo, era uno sconosciuto! Uno sconosciuto fantastico, certo, ma pur sempre uno sconosciuto. Che invece sembrava conoscerla piuttosto bene. 
"Scusa" disse lui, alzandosi e porgendole la mano per aiutarla a fare lo stesso. 
"No scusami tu, non posso. È che tu sei..."
"Uno sconosciuto" rispose lui abbassando lo sguardo, quasi come se si sentisse ferito.
"Mi dispiace, non volevo"
"Non preoccuparti, ti lascio il mio numero, domani chiamami e ti accompagno a recuperare la macchina"
"Aspetta" disse Luce afferrandogli un braccio "Rimani"
Vin la guardò a lungo negli occhi "Non credo sia una buona idea"
"Perché"
"Perché non so se riuscirei a fermarmi"
In quel momento lei fu consapevole del fatto che non voleva assolutamente che si fermasse. Gli si avvicinò e lo baciò, sorprendendolo un pò. Poi si ritrovò schiacciata contro il muro, la sua possente erezione che le premeva tra le gambe. Gemette e lui la baciò con più foga, slacciandole i pantaloncini e infilando una mano tra le sue gambe. Era deliziosamente bagnata e calda e lui infilò due dita dentro. Lei si inarcò contro di lui, invitandolo a spingere di più, lui esitò un attimo.
"Non ti fermare" lo supplicò lei "Prendimi, ti prego, ti voglio sentire dentro di me"
Gli accarezzò l'erezione, sbottonandogli i pantaloni e muovendo la mano su e giù.
"Oddio Luce, non resisto più"
Le strappò via i pantaloncini e la penetrò con decisione. Urlarono insieme, lei avvinghiò le gambe alla sua schiena e si lasciò possedere selvaggiamente, fino a quando non raggiunsero insieme l'orgasmo. 
"Portami in camera da letto" gli sussurrò lei all'orecchio, ancora ansimante, mentre lui le baciava dolcemente il collo.

In camera lo fecero ancora, presi da quel fuoco ardente che li stava bruciando. Si addormentarono sfiniti, abbracciati. Anche se Vin era uno sconosciuto, Luce non si era mai sentita così bene tra le braccia di un uomo. Mai. Lo guardò dormire, Dio, quanto era bello. Non voleva svegliarlo, ma non riusciva a trattenersi dalla voglia di baciarlo.
Solo un bacio, si disse, e sorridendo poggiò le labbra su quelle di Vin.

Ad opera di DaniCobain :3


Solo una carezza ...

Rating: Rosso
Tema : Avventura , Het
Attenzione ! Contiene parti erotiche :) 


Vin vagava per il bosco cercando di non pensare a Luce e a cosa stesse facendo. Quella sera era uscita, in città con le amiche e lui aveva resistito all'impulso di seguirla. Girava nel buio e nel silenzio assoluto nella speranza di calmare i suoi istinti. 

Ricordava ancora la prima volta che l'aveva vista. Quella sera era stato inviato a proteggere un ragazzo che stava per avere un incidente, ma non lo aveva fatto. Si era distratto perchè aveva incontrato lei, Luce. Aveva solo quindici anni, era già bellissima e lui se ne era innamorato all'istante. Era rimasto incantato dal suo sorriso e dalla sua voce, bassa e calda, sensuale...aveva capito in una frazione di secondo che non avrebbe più potuto farne a meno

Era stato punito per aver disatteso agli ordini che gli erano stati impartiti, gli era stato impedito di scendere sulla Terra per un mese e la punizione si era allungata quando avevano scoperto il suo amore per quella ragazza.

Vin era un angelo, un bellissimo angelo con ali bianchissime e morbidissime, viveva con i suoi fratelli in Paradiso e spesso scendevano sulla terra per aiutare gli umani. Raramente però si facevano vedere da loro ed era vietato avere con loro qualsiasi tipo di rapporto.

Vin però non riusciva più a fare a meno di Luce, scendeva sulla terra solo per poterla guardare. L'aveva vista crescere, innamorarsi, soffrire, piangere, ridere. Non si era mai mostrato a lei, la osservava da lontano e spesso rimaneva notti intere appollaiato alla sua finestra a guardarla dormire.

Era stato cacciato dal Paradiso per questo suo amore, anche se non aveva mai avuto nessun contatto con lei, aveva disobbedito, non aveva rispettato le punizioni e le decisioni degli Angeli Superiori ed era diventato un angelo caduto. Gli erano state strappate le ali ed era stato lasciato sulla Terra, in bilico tra il bene e il male. Sarebbe bastata una minima distrazione, una piccola azione sbagliata e sarebbe caduto definitivamente all'Inferno, al servizio di Satana. Solo l'amore che nutriva per luce gli aveva fatto tenere duro, forse un giorno sarebbe potuto ritornare in Paradiso...

Erano dieci anni oramai che viveva tra gli umani, si era costruito una casetta nel bosco, non molto distante da quella di Luce, aveva lavorato per un pò come soldato, vista la sua stazza imponente e la sua immortalità e capacità innata di combattere era un guerriero formidabile, ma questo lavoro lo teneva troppo tempo lontano da Luce e così aveva smesso. Quando gli erano state strappate le ali, sulla schiena gli erano rimaste delle cicatrici, rosse, una V capovolta, e per mascherarle si era fatto tatuare dei complessi simboli di cui pochissime persone sulla Terra conoscevano il significato. 

In tutto questo tempo non si era mai mostrato a Luce, era sempre rimasto invisibile quando si era avvicinato a lei.

Sapeva che lei attualmente si sentiva sola, non era mai riuscita a trovare un uomo che la trattasse come meritava e Dio solo sapeva quanto lui la conoscesse bene e quanto l'amasse, avrebbe potuto renderla felice, ma non voleva che lei si innamorasse di lui. Presto lei sarebbe invecchiata, sarebbe morta, mentre invece lui sarebbe rimasto uguale, un ventottenne bello, sano e forte. Come glielo avrebbe spiegato? Voleva risparmiarle ulteriori sofferenze. 

E poi c'era quella maledizione...se solo l'avesse baciata, sarebbe passato direttamente dalla parte del male senza più possibilità di redenzione.

Così trascorreva le sue giornate a guardarla vivere e a sperare che gli scaldasse il cuore con un sorriso. Peccato che quei suoi meravigliosi sorrisi non fossero rivolti a lui. Ogni volta che la vedeva ridere gli si disegnava un'espressione da ebete sulla faccia e non andava più via.

Il tempo che aveva trascorso sulla terra lo aveva reso duro e temibile. Non aveva molti amici, ad eccezione di altri due angeli caduti come lui, principalmente perchè i legami con gli umani erano da evitare e poi perché tutti avevano paura di lui. Le donne erano attratte dalla sua bellezza, ma poche osavano avvicinarsi e lui non si era mai abbandonato ai piaceri della carne. Lui voleva dolo Luce, tutto il resto non esisteva. Faceva male sapere che non avrebbe mai potuto averla, non avrebbe mai saputo che sapore avessero i suoi baci e come fosse morbida la sua pelle.

Poi però, all'improvviso, dei passi frettolosi avevano rotto il silenzio del bosco e lui era amdato a controllare. Fu indescrivibile quello che provò quando vide Luce correre a perdifiato e percepì la sua paura. Si rese visibile all'istante, non pensò che così avrebbe potuto terrorizzarla ancora di più e quando la vide sbiancare e la sentì urlare a squarciagola dopo essergli sbattuta addosso, si maledisse. Cercò di calmarla, ma tutto quello che gli uscì dalla bocca lo disse duramente. Idiota. Idiota. Idiota. si ripetè. Era così spaventata, povera piccola...

Quando lei gli disse che un uomo aveva tentato di violentarla e lei era riuscita a scappare si sentì orgoglioso di lei e gli venne da sorridere, ma poi pensò subito che avrebbe voluto uccidere quell'uomo con le sue mani e poi sarebbe stato più che felice di andare all'Inferno.

Lei aveva paura ma lui voleva portarla via di lì e senza badare troppo a quello che gli diceva la prese in braccio e si diresse verso casa sua. La sentì rilassarsi ed ebbe voglia di accarezzarla. 

"Come ti chiami?" le chiese lei, distogliendolo dai suoi pensieri.

"Vin"

"Io sono Luce"

Ciao Luce, io so già come ti chiami, so tutto di te, sono dieci anni che ti amo, so che non ti piace il latte e la mattina ami dormire ma devi alzarti presto per andare a lavorare. So che ami il mare e che purtroppo non ci vai spesso. So che ti piace la natura e per questo hai deciso di andare a vivere in campagna. So che ogni sera, prima di addormentarti, leggi un libro e qualche volta piangi...so che sei la persona più bella che io abbia mai conosciuto, so che il tuo sorriso è il mio sole e so che ti amerò per sempre...

Beh si, questo sarebbe stato uno shock. Ma...cielo, era così bello averla tra le braccia. Era così bello poter sentire il suo profumo e poter parlare con lei... 

Dopo averla rassicurata ed averla portata a casa, si fermò per qualche secondo a guardarla. Era una sensazione bellissima sapere che lei lo stava guardando, che finalmente sapesse della sua esistenza. Era così bella, i suoi occhi scuri erano come un vortice che lo risucchiava. Solo una carezza, solo una e poi la lascerò andare...

"Ti va di entrare?" gli chiese lei.

Oh gli andava, gli andava tantissimo, ma non poteva. No, il suo corpo stava iniziando a reagire in modo strano alla sua presenza. Adesso la desiderava più di qualsiasi cosa, voleva assolutamente baciarla e fare l'amore con lei e accarezzarla e coccolarla fino a quando lei non si fosse addormentata tra le sue braccia. I suoi sorrisi sarebbero stati solo per lui, come aveva sempre desiderato, la sua voce avrebbe sussurrato o gridato il suo nome, e lui bramava sentirla gridare il suo nome.

Entrò con lei. Conosceva quella casa come le sue tasche, ma ora che vi era dentro, cercò di catturarne ogni piccolo particolare. 

Attese che lei tornasse da lui dopo essere andata a prendere da bere e dopo poco rovesciò tutto il vassoio a terra. Vin si alzò per aiutarla e a quel punto percepì il suo desiderio. Lei voleva che lui la baciasse. E che lui la spogliasse. Lei lo voleva quasi quanto lui voleva lei. Dio, forse erano destinati a stare insieme. 

Fu lei ad accarezzarlo per prima e Vin non riuscì più a controllarsi. 

"Era da molto tempo che volevo farlo" le disse e lei non avrebbe mai potuto capire quanto fosse vera quella frase. 

Poi la baciò. Dolcemente, le accarezzò le labbra con la lingua, la assaporò, la divorò. Aveva sempre immaginato che il suo primo bacio con Luce sarebbe dovuto essere delicato, dolce, ma lei lo stava spingendo oltre il limite. Lei gli fece perdere totalmente il controllo e le infilò le mani sotto la maglietta. La sua pelle era vellutata e calda e voleva passarci la lingua sopra ma ad un tratto Luce si fermò. 

Cazzo. Cazzo l'aveva baciata. Era diventato un angelo Caduto al servizio di Satana. Presto gli sarebbero cresciute delle grandi ali nere. 

"Scusa" le disse.

"No scusami tu, non posso. È che tu sei..."

"Uno sconosciuto" rispose lui. Era davvero dura da digerire, ma era così che lei lo vedeva.

"Mi dispiace, non volevo"

"Non preoccuparti, ti lascio il mio numero, domani chiamami e ti accompagno a recuperare la macchina"

"Aspetta" disse Luce afferrandogli un braccio "Rimani"

Vin la guardò a lungo negli occhi "Non credo sia una buona idea"

"Perché"

"Perché non so se riuscirei a fermarmi"

E a quel punto fu lei che lo baciò. La spinse contro il muro e le sbottonò i pantaloncini. Moriva dalla voglia di toccarla, di penetrarla. Lei gemeva e quando lui la penetrò con due dita e la sentì così calda e bagnata, pronta per lui, per poco non venne.

"Non ti fermare, ti prego prendimi" disse Luce ansimante.

"Oddio Luce, non ce la faccio più"

Lo fece. La prese, la possedette selvaggiamente, guardandola godere, impazzendo di gioia per quello che stava facendo. Era tutto così perfetto, così bello. Loro due insieme erano perfetti. Anche Luce se ne era accorta, lo percepiva. Lei sapeva che tra loro c'era un legame particolare. La portò a letto e l'amò dolcemente, come meritava di essere amata. Aveva quasi voglia di piangere per tutte le belle sensazioni che stava provando e che per dieci lunghi anni aveva solo immaginato. Magari con lei al suo fianco sarebbe riuscito a domare il suo lato malvagio, quello che presto si sarebbe sprigionato e che lui temeva. 

Mentre dormiva, lei lo baciò e lui l'accarezzo. Solo una carezza, aveva detto, ma quella carezza sarebbe durata l'eternità.

Ringrazio DaniCobain :3


Rating : Verde (si dividono in più classificazioni dal più erotico al non)
Tema: Romantico


I love you!

-Lou,no ti prego mettimi giù-
-No finchè non ammetterai che le sono bellissime queste scarpe nuove-disse lui continuando a farmi volteggiare in aria.
-Si Louis,le tue scarpe nuove sono veramente la fine del mondo.-urlai ridendo con lo stomaco che chiedeva pietà.Quando mi mise a terra,feci tre passi verso di lui e gli vomitai sulle scarpe.O porca merca merda.Lo guardai con la faccia da cucciolo,ma niente,lui aveva uno sguardo assassino.Indietreggiai impaurita mentre lui si avvicinava sempre di più.Incominciai a urlare correndo per tutto il parco giochi,e mi nascosi dietro a un albero.Pensavo di averlo seminato,ma invece no.Lo sentì prendermi per le gambe e prendermi in braccio,con me che scalciava e continuava a dargli dei pugnetti sul torace.Mi portò in braccio fino alla “nostra panchina”,che aveva preso quel nome il giorno in qui Lou decise di inciderci le nostre iniziali avvolte da un cuore.Si sedette e mi fece mettere la testa sulle sue gambe.
-Sai Lou,io credo che la gente sbagli.Noi saremo sempre amici,insomma ci conosciamo da...quando sono nata,e siamo cresciuti insieme,la nosra amicizia è speciale.Non può svanire un legame così forte,vero?Io e te saremo per sempre amici,giusto?Tu non mi abbandonerai mai,non è così?-chiedo guardando quegli occhi che amavo da quando ero bambina,ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo neanche dopo 15 anni,per paura di rovinare la nostra amicizia.
-Certo che è cosi,piccola-disse baciando la lacrima che rigava il mio volto.Con lui così vicino al mio,non potei trattenermi e misi le mie braccia intorno al suo collo e lo abbracciai forte,assaporando come non mai il suo buonissimo profumo al limone e pepe rosa.
-Hey,Rachel.Tu sarai sempre la mia migliore amica,qualunque cosa accada,qualunque strada deciderai di prendere,io sarò con te,e tu lo sai.Tu sei la mia Wendy e io il tuo Peter.Sarò sempre fuori dalla tua finestra,pronto a portarti via,in un mondo dove solo io e te possiamo andare.Sarò sempre io,a insegnarti a volare quando starai con me,e sarò sempre io a prenderti al volo quando uno dei tuoi voli andrà male.-disse sussurrando al mio orecchio,mentre io non facevo altro che piangere per la dolcezza di quelle parole.
-Louis William Tomlinson,io ti credo,e non voglio smettere di farlo,quindi giura!-riuscii a dire tra un singhiozzo e l'altro.
-Te lo giuro-disse accarezzandomi i capelli e posandomi un bacio nell'angolo della bocca.Quel gesto mi fece venire la pelle d'oca,e lui accorgendosi dellla mia reazione scoppiò a ridere.
-Dai ti accompagno a casa,ormai si è fatto buio,e tra poco scende il diluvio-disse quando incominciarono a cadere delle goccioline di pioggia.

Quando arrivammo a casa e aprii la porta,trovai un bigliettino di mia madre che diceva che la nonna aveva avuto un problemino,e che quindi era corsa subito da lei in Italia.
-Mamma non c'è,è in Italia,e papà è da qualche parte in Europa per lavoro.Perfetto!-dissi in tono deluso,buttandomi su Louis che si era sdraiato sul divano del salotto.
-Rocky,se vuoi ti tengo compagnia per un po'.-disse lui avvolgendo i miei fianchi con le braccia.
-Certo.Ordiniamo una pizza e guardamo un film horror?-chiesi ascoltando attentamente i battiti del suo cuore che più lui mi stringeva e più si calmavano.Annuì,e io andai a prendere il telefono per ordinare una pizza.Quando chiusi la chiamata,feci per andare da Louis,ma un tuono fece rimbombare tutta la casa,e io strillai fortissimo,perchè fin da quando ero piccola avevo paura dei temporali,e Louis che lo sapeva corse subito da me,e appena mi vide in ginocchio con le mani che coprivano le orecchie e il corpo tremante,mi fece alzare dolcemente,mi prese in braccio e mi porto su in camera mia.Quando arrivammo davanti alla porta,la fece aprire e un lampo blu illuminò la stanza facendomi aggrappare ancora più forte al mio migliore amico.Mi posò sul letto,ci togliemmo le scarpe,lui si sfilò la maglietta e insieme ci mettemmoo sotto le coperte.Io mi accoccolai al petto caldo di lui,mentre lui mi accarezzava i lunghi ricci,esattamente come facevamo tutte le volte che c'era un temporale.
-Ti ricordi la prima volta che ci siamo infilati sotto le coperte durante quel temporale pazzesco e tu non favevi altro che piangere?-mi chiese lui sussurrando.
-Oddio si!Mia madre quando ti ha visto sotto le coperte senza la maglietta ha dato i numeri ricordi?-ridemmo entrambi,e la mia paura passò.
-Lou?-
-Dimmi-disse stringendomi ancora più forte.
Ok Rocky,basta prendere un respiro e...
-Se ti dicessi che mi piaci,cosa diresti?Se ti dicessi che fin da quando ero piccola,mi perdo nei tuoi occhi così puri e sinceri,mi crederesti?Se ti dicessi che tutte le volte che ti vedo baciare un'altra mi si stringe il cuore,cosa penseresti?E se ti confessassi,che più di una volta ho immaginato come sarebe bacia...-non finii la frase,perchè avevo le sue soffici labbra posate sulle mie.
-Ti direi,che anche io provo lo stesso-disse staccandosi da quel delicato bacio,sorridendo.Mi fiondai sul suo viso,riempiendolo di baci,sugli occhi,sulla punta del naso,sul mento,e quando gli baciai l'angolo della bocca lo sentii gemere.
-Ammettilo,tu mi vuoi fare morire!-disse prendendomi il viso tra le sue mani calde e baciandomi dolcemente.Volevo di più,aspettavo quel momento da secoli,e quindi incominciai a baciarlo più profondamente e con più foga,fin quando schiusi le labbra per fargli capire tutto il mio desiderio e lui senza alcuna esitazione si insinuò dolcemente con la lingua.Quello non era un sempice bacio,era un misto tra desiderio,passione,gioia e amore,insomma,pura follia.
3 metri sopra il cielo”?Fanculo Moccia.
Sentii il campanello suonare,ma non feci assolutamente niente per interrompere quel momento,cosa che invece fece Lois,staccandosi dalle mie labbra e guardandomi passandosi la lingua sulle labbra.
-Sai di nettare-disse ridendo.Lo guardai con un'espressione da “WTF” sgranando gli occchi.
-Dolce in tutto e per tutto-dissi ammiccando dopo un po' di esitazione.
Di nuovo il campanello.
-Meglio se andiamo ad aprire-disse con un sorriso che non gli avevo mai visto prima.
-Però prima un altro bacio-dissi prendendolo per la mano.Lui si avvicinò a me e mi diede un bacio a stampo.
-Ancora-dissi ad occhi chiusi,quando lui si staccò dalle mie labbra.
-Ancora-dissi alzandomi e mettendomi in punta per baciarlo.
-Ancora-lui mi diede anche quel bacio,e poi corremmo giù per le scale ad aprire al ragazzo della pizza,che stava li ad aspettarci con le pizze ancora calde in mano.
-Grazie mille-dissi dandogli i soldi e chiudendo la porta.Mi fiondai sul divano tra le gambe di Louis,e posai le scatole sul tavolino,così potevamo mangiare,guardare un film,e farci le coccole.Il film non era ancora incominciato,e io stavo già morendo di paura.Quando il film finì io cercai coraggio in quegli occhi verde chiaro che amavo alla follia,perchè quel film mi aveva letteralmente terrorizzata.Ci alzammo entrambi dal divano,e mentre si stiracchiava a Louis incominciò a squillare il telefono.
-Mamma?No,sono da Rocky-mi guardò negli occhi-torno a casa?-scossi violentemente la testa,facendogli stampare un enorme sorriso sulla faccia-No.dormo qua-disse accarezzandomi la guancia-'Notte-e chiuse la chiamata.Lo abbracciai fortissimo e gli lasciai un piccolo bacio a stampo.Sorrise a quel piccolo contatto.
-Allora che si fa?-chiese lui avvicinandosi già alle scale.
-Sono le 11:45,andiamo a lavarci i denti e poi facciamo qualche gioco-dico salendo le scale.

-Okey,domanda numero 9-disse Lou seduto sul mio letto a gambe incrociate-perchè hai tanta paura dei temporali?-
-Perchè mi mettono ansia.Ok,perchè hai un piccione di plastica che chiami Kevin?-
-Perchè odio i piccioni,anzi,odio tutti gli uccelli,e quindi per farci amicizia ho preso Kevin,che ho chiamato così,perchè ero a corto di ispirazione-io ovviamente non potei far altro che scoppiare a ridere contorcendomi tutta.
-Okey,allora...prima cotta?-disse avvicinandosi a me.
-10 anni-dico continuando a ridere.
-E chi era?-disse infastidito.
-Un sedicenne idiota,che non lo capiva e che mi faceva incazzare tutta le volte che baciava quella trottolina della sua ragazza,aspè com'è che si chamava?Ah giusto Christy-dissi quel nome con disprezzo,cosa che fece ridere Louis.
-Ecco perchè quando abbiamo rotto hai fatto i salti di gioia.E poi la differenza di età era troppa.-disse divertito.Mi limitai a lanciargli un'occhiataccia,che esprimeva tutto l'odio di quel momento.
-Ultima domanda-esordii contenta-tu provi seriamente qualcosa per me,o è tutta una stronz...?-ancora una volta non feci in tempo a finire la frase,che le sue labbra erano sulle mie.Se prima mi baciava dolcemente,questa volta era il contario,mi baciava con foga,con un desiderio che mi faceva fibrare in parti che non sapevo di avere.Lentamente mi ritrovai sotto di lui.Mi stava lasciando una scia di dolci baci sulla pancia,causando ad ogni contatto con le sue labbra sulla mia pelle una scarica di brividi lungo la schiena.Pensavo veramente di impazzire,avevo bisogno delle sue labbra sulle mie,così gli presi il viso tra le mani e lo baciai se possibile con più passione di prima.Lo guardai in tutto il suo spledore,e quando vidi che la sua “terza gamba”di era alzata scoppiai a ridere come una deficiente.
-Loui i tuoi attribiti si eccitano troppo facilmente-dissi sedendomi su una delle due piazze del letto.
-Bèh io sono un ragazzo,è normale che facendo certe cose con la ragazza che amo,mi ecciti-disse sedendosi accanto a me,e incominciando ad accarezzandomi i capelli.
-Cosa hai detto?-chiedo godendo come una matta.
-Che ti amo.-disse guardandomi intensamente.
-Dillo ancora-dissi in un sussurro.
-Ti amo-
-Ancora-
-Ti amo-
-Ancora-
-Ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,tia amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo,ti amo ,ti amo,ti amo,-
-Non smettere mai di dirlo-dissi,e poco dopo mi addormentai con uno stupendo “ti amo”.

Quando aprii gli occhi,un raggio di luce mi accecò,facendomi così girare dall'altra parte e ritrovandomi davanti al viso angelico di Louis.Sentivo qualcosa sul fianco,e quando mi accorsi che era il suo braccio,non potei trattenermi e gli diedi un piccolo bacio sulla bocca socchiusa.Mugugnò e aprì gli occhi lentamente.
-Buongiorno amore mio-dissi sorridendo.
-Cosa hai detto?-chiese strabuzzando gli occhi
-Buongiorno-dissi incerta.
-Nono.Come mi hai chiamato?-disse con un sorriso dolcissimo.Mi misi in pidi sul ellto,troneggiando su di lui.
-Scusa,hai sentito bene,ti ho chiamato amore,perchè tu sei il mio amore.Vaglielo a dire a quella trottolina di Christy!-mi prese per i fianchi e mi bacio dolcemente,provocandomi ugualmente una fiammata dentro.
-Andiamo a fare colazione al bar?-chiese quando ci fummo staccatti.Annuii,e dopo esserci preparati uscimmo.


Dopo aver fatto colazione decidemmo di andare a fare un giro al parco,e quando mi ritrovi sdraiata su quel prato fiorito,accanto al ragazzo che ho sempre amato,il mondo sarebbe anche potuto crollare,tanto ormai stavo con Louis,e non lo avrai mai lasciato.



Finish -  ♥.   :3

32 commenti:

  1. E' una cosa meravigliosa *--* Per non parlare dell'idea sei fantastica :')

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  2. Come sono cuccioliii *--* prometti che ne metterai altre ? ^-^

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  3. Quando si arriva al rating ROSSO ? *O* Ps. bellissimo , e grazie frà

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  4. Bellissimissimissimo *-----------------* Franci sei un genio ! E' bellissima questa nuova sezione ...

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  5. bell'idea ... complimenti ;)

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  6. Non smetti mai di stupirmi ... diamine ! *ww*

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  7. " io sono luce " Awww... *-*

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  8. Bellissimi sti One shot -. by sorella di Uga xD

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  9. Rosso :Q_________________________

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  10. Mettere nuova pleasee ? ^-^

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  11. Solo un bacio ....... Awww :3

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  12. quando ne pubblicherai altri?
    sn fantastici...brava

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    1. Grazie ! Al più presto aspetto che la ragazza dei racconti ne faccia altri !

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